Un articolo da leggere assolutamente.
Il bravo blogger URIEL FANELLI, che con il suo blog KEIN PFUSCH, scrive dalla Germania, ha messo in evidenza con una lucidità disarmante, la differenza che corre tra i cosiddetti migranti, costretti a lasciare il proprio paese per disperazione e con le valigie di cartone, ma sempre animati dalla speranza che un giorno potranno farvi ritorno, e coloro che invece lo abbandonano perché hanno deciso che è giunto il momento di lasciare al proprio destino un sistema iniquo e parassitario che disprezzano profondamente.
Devo dire che mi ci rispecchio pienamente in questa descrizione, e come il sottoscritto, sono moltissime le persone che in questi ultimi anni hanno deciso di lasciare l'Italia al proprio meritato destino.
LA SECESSIONE PERSONALE (di URIEL FANELLI)
Credo di avere due o
tre persone che continuano a sbattersi dicendo che io non ho parlato dei
morti di Lampedusa abbastanza. Si tratta sia di persone di sinistra che di
leghisti o cattofascisti. Mi dicono che dovrei sentirmi coinvolto, ma le cose non
stanno esattamente così. No, ci sono delle differenze.
Vedete, se caricate
i due stracci che avete e vi affidate ad un criminale per andare, con un
viaggio lungo e rischioso, in un paese dove non conoscete nessuno, siete
sicuramente dei migranti.
Posso definire
chiaramente le condizioni del migrante. Se rischi la vita, vendi ogni cosa che
hai, vai in un posto del quale non parli la lingua, senza avere contatti,
completamente alla cieca, la forza che ti spinge e’ chiara, ma e’ anche
chiara la debolezza che ti
spinge.
Ed e’ la stessa
debolezza che sconti quando uno scafista ti getta in mare con moglie e bambini.
La stessa che sconti quando ti sbattono in un CPE. Quando ti trovi per le
strade e non sai che diavolo fare, a chi chiedere, con chi parlare. Non sai
nemmeno parlare,a dire il vero, perché nessuno ti capisce.
Adesso facciamo un
confronto. Come saprete, la svizzera e’ interessata da un fenomeno che e’
quello delle aziende italiane che si muovono oltreconfine. Si tratta , secondo
voi, di immigrati.
Ma generalmente
arrivano in Svizzera su un’auto. Entrano in un ufficio e chiedono cosa fare per
spostare l’azienda. E si vedono offrire un “Welcome Package” di servizi, che lo
invitano a restare. Queste persone condividono coi migranti la forza che li spinge
ad andare via: anche loro non potevano più sostentarsi in patria.
Ma non condividono
con il migrante la debolezza che lo spinge: essi hanno, eccome, un potere di
trattativa. Lo stato svizzero, come quelli francese ed austriaco o croato o
sloveno, li vogliono. Nessuno manca loro di rispetto. Nessuno li rinchiude in
un CPE.
La cosa che non si
vuole capire e’ che la definizione di migrante e’ definita da due condizioni:
· Una forza enorme che
toglie loro la possibilità di vivere in loco.
· Una debolezza enorme
che li rende impotenti, nulli, soli, isolati, nel luogo di destinazione.
Se togliamo la
seconda caratteristica al movimento, non otteniamo niente di simile alla vostra
“migrazione”. Ne ho visti tanti quando viaggiavo avanti e indietro dall’
Italia. Erano persone che avevano in tasca un bel foglietto con un contatto in
un edificio cittadino, il Burgerbüro. Andavano a discutere le agevolazioni fiscali
se avessero spostato lì la loro azienda. Li sentivo parlare, in quella mancanza
di privacy che e’ l’aereo.
Queste persone non
erano in balia di uno scafista. Non temevano di essere gettati giù a colpi di
remo. Scendevano dal loro aereo Lufthansa, prendevano un taxi, e andavano in un
ufficio col quale avevano appuntamento, ove una persona li aspettava, e se non
già italiano, quella persona parlava almeno inglese.
Certo, una forza
enorme (la crisi e la pressione fiscale) li spingevano. Ma quello che mancava
era la debolezza
del migrante.
Ora, se non possiamo
chiamare “migranti” le migliaia di aziende, professionisti e tecnici
specializzati che se ne vanno, come dovremmo chiamarli? Che cosa fanno queste
persone, se non e’ emigrazione?
La parola la
conoscete:
SECESSIONE.
Si, i leghisti ve ne
hanno parlato tanto. Non l’hanno mai fatta, vero. Ma il loro intento iniziale,
almeno quello dichiarato, era di non
pagare più una lira a Roma, non
contribuire più ad un sistema che sprecava i soldi, ad un sistema che
disprezzavano, che ritenevano alimentare parassitismo e fancazzismo.
Adesso chiediamoci:
che cosa hanno ottenuto le migliaia di aziende italiane che si sono spostate
oltreconfine? Hanno ottenuto di… di NON PAGARE PIU’ UNA LIRA A ROMA,
non contribuire più ad un sistema che sprecava i soldi, ad un sistema che
disprezzavano, che ritenevano alimentare parassitismo e fancazzismo.
Che strana
coincidenza, eh?
Voi non lo avete
capito, ma la
secessione è in corso.
solo a Chiasso si
muovono dalle 10 alle 15 aziende italiane al giorno. Fanno da 3650 aziende a
5475 aziende/anno. Ma non c’e’ solo Chiasso. Di tutte le migliaia di aziende
che hanno chiuso quest’anno, e che voi credete abbiano chiuso, una cospicua
percentuale si e’ semplicemente spostata. Per le statistiche sono chiuse, ma in
realtà hanno riaperto altrove.
Dalle zone del nord
, ove spostarsi verso “un poco più a nord” e’ più facile, e’ in gioco una vera
e propria secessione.
Stanno facendo
quello che predicava la Lega :
“mai più una lira a Roma”.
Lo stesso dicasi di
chi emigra oggi, del professionista o della persona che ha degli skill ricercati.
Mandi un CV via internet. Hai un primo colloquio telefonico. Anche un secondo.
Prendi un aereo e vai a fare il colloquio personale. Arrivi, prendi un taxi e
vai al colloquio. Ti aspettano.
Niente a che vedere
con la debolezza del migrante.
Sei debole, si, ma
non sei così debole. Hai scelto la nazione, hai già parlato
con qualcuno, se stai più di un giorno andrai in albergo. Insomma, non e’ la
stessa cosa. Manca ancora la situazione di totale debolezza, di nullità, di
totale scomparsa di qualsiasi importanza.
No, non siete come
quelli di Lampedusa. Anche perché questi vi CERCANO, come dipendenti. Paesi
come la Germania
ci stanno svecchiando la classe lavoratrice, coi nuovi arrivati.
E lo vedete quando
li osservate. Se andate via dall’Italia, conoscerete due tipi di italiano
all’estero.
Quelli che hanno fatto l’immigrazione, e quelli che hanno fatto la
secessione.
Li riconoscete
subito.
In quelli che sono
immigrati via con la valigia di cartone e sole speranze, notate la nostalgia.
La preghiera. Un parrucchiere siciliano mi ha chiesto “ma anche voi dal nord
non vedete speranza?”. Era venuto via in tempi diversi. E lui come tanti
hanno la speranza di tornare, che il paese si rialzi, che torni ad essere
rispettato. Questi italiani li riconoscete anche sugli autobus, sui treni:
appena si sentono parlare a vicenda, si alzano, “sei italiano anche tu?”.
Reduci di una condizione per cui conoscere qualcuno in più significava avere
una porta cui bussare in caso di necessità. Si vedono regolarmente,
formano club, bar, associazioni. Io lo chiamo ghetto, ma ne percepisco benissimo
l’antica finalità difensiva.
Poi ci sono quelli
che hanno fatto la secessione personale. Quelli cui non dispiace se arriva il
conto da pagare. Anzi, sono quelli che pensano che e’ giusto così, che le
nazioni ove si è tollerato troppo devono pagare. Quelli che non vedono
speranza, ma nel vedere affondare i peggiori leggono le regole di una meritocrazia,
che come tale premierà i migliori. In Italia e’ mancata per tanti anni la
punizione , pensano, e adesso è arrivata. Li vedete nei tram e sugli autobus,
che si allontanano quando sentono parlare italiano. Fuggono dagli altri
italiani. Non vogliono avere nostalgia, anzi, vorrebbero dimenticare. Se
esistesse un paesino locale senza italiani ci andrebbero a vivere. Gente che
non sopportava più un modo di fare, un modo di essere.
Il mio parrucchiere
italiano e’ qui da 35 anni. Non ha mai fatto l’esame di integrazione per avere
il passaporto, anche se ha moglie e figli tedeschi. Lui e’ immigrato. Chi ha
fatto la sua secessione personale, nelle stesse condizioni dopo 3 anni e mezzo
e’ a fare l’esame.
vedete la
distinzione tra i due gruppi quando si parla di politica. Se parlate con chi ha
fatto secessione, trovate sempre uno che dice “ehi, non voglio che neanche una
lira delle mie tasse vada a quei ciarlatani”. Quelli che sono immigrati, e
hanno passato la vita a spedire i soldi a casa, non vi capiscono. Come non
capiscono come mai io me ne sia andato pur avendo un lavoro ed una casa in
Italia. Così come non capiscono come mai se ne siano andati quelli che
avevano un’azienda e sono venuti qui. C’e’ stata una cena di imprenditori
italiani che hanno mosso le aziende a Düsseldorf, e c’era una hall piena.
Migliaia. Gli immigrati non li capiscono: come, avevate un’azienda e siete
venuti qui?
Perché non costa
poco spostare un’azienda, e peraltro occorre chiudere i debiti, sennò a
spostarsi le banche ti saltano addosso come giaguari.
Quelli che hanno
fatto la loro secessione personale, che hanno divorziato da un modo di fare, da un modo di essere,
a queste riunioni di expat non ci vanno. Parlano poco con altri
italiani. E
non vogliono che una sola lira delle loro tasse vada a Roma: potessero,
voterebbero la Merkel
non una, ma dieci volte.
Questo e’ il punto:
quando si parla di expat si parla sempre e solo degli immigrati. Del resto,
difficilmente chi ha fatto secessione si lascerà intervistare dalla tv, o
rilascerà qualche dichiarazione ad un giornale.
Allora, forse dovreste
iniziare a fare una distinzione: forse chi e’ immigrato via si sentirà
immedesimato nei disperati di Lampedusa. Forse si riconoscerà. Chi ha lasciato
l’ Italia ed e’ arrivato con due stracci ed una valigia di cartone magari si
sentirà simile a loro nell’iniziale debolezza, e nell’assoluta mancanza di un
punto di appoggio.
Potete aspettarvi
che coloro che sono emigrati via si immedesimino nell’immigrato di
Lampedusa.
Non potete
aspettarvelo da chi ha fatto la sua secessione personale.
Uriel
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